Ufficio stampa: quando manca la professionalità…

DiAnna Tauri

Set 8, 2012

Giornalista e ufficio stampa: Milano, Napoli, Torino o Roma, non fa differenza se parliamo di questa interazione basilare fra due attori fondamentali della comunicazione. Il giornalista è alla ricerca continua di notizie, ossia di fatti che rivestano un tale interesse per i suoi lettori da poterli poi pubblicare sul proprio giornale; dal canto suo, l’addetto di un ufficio stampa segue la comunicazione sui giornali di un’azienda, o come suo dipendente nei casi delle società più grandi, oppure come consulente esterno, e il suo lavoro è quello di scorgere la chiave che trasformi alcuni, fra i tantissimi fatti che accadono nella sua azienda, in notizie degne, appunto, della pubblicazione, e quindi dell’attenzione del giornalista. Non è difficoltoso cogliere quanto sia importante questa funzione, e quindi quanta attenzione si debba porre nella selezione della persona a cui affidarsi per svolgerla. Il rischio, altrimenti, è quello di vedere la propria immagine gestita da figure raffazzonate e improvvisate, capaci di gaffe a metà fra l’ignoranza, l’arroganza e la semplice comicità. Leggetene tre, trovate girando per internet…

1)Addetto stampa: “Buongiorno, vorremmo proporle un articolo su quest’azienda”

Giornalista: “Ma qual è la notizia?”

A.S. “Nessuna: vorremmo un’intervista per parlare delle caratteristiche dell’azienda.”

Proviamo a tradurre? In un italiano più onesto, il messaggio è qualcosa di simile a “In effetti, di importante da comunicare non abbiamo proprio niente. Però in qualche maniera dobbiamo far parlare di noi, e preferiremmo farlo gratis anziché comprare normalmente un’inserzione pubblicitaria.” Peccato che per prima cosa i giornalisti non si occupino di fare pubblicità, e per seconda, meno che mai la facciano gratis: soprattutto visto che i loro giornali, la pubblicità,la vendono a caro prezzo… pretese assurde!

2) Addetto stampa: “Potremmo dare un’occhiata al titolo?”

Rispetto al caso di prima, che era buffo e perfino bambinesco nella sua totale assurdità, qui siamo davanti ad un comportamento più subdolo e, francamente, più insultante. La persona in questione sta cercando di porsi come filtro, come giudice, del lavoro del giornalista – che valuterà ovviamente secondo i canoni di utilità alla sua azienda. Ma i canoni del giornalista, lo abbiamo detto, non sono questi, e non è il suo mestiere scrivere un titolo che piaccia a noi. Non stiamo parlando – ed è essenziale capirlo – di una pubblicità, della quale potremmo sicuramente criticare la headline.

3) da una mail di un addetto stampa: “ Ci terremmo che identificasse l’intervistato esattamente come abbiamo scritto nella mail”.

Nella mail in discussione c’erano, circa, una trentina di righe contenenti tutti i titoli, le qualifiche, e le posizioni passate e presenti ricoperte dall’intervistato. Oltre ad una certa dose di arroganza nel cercare di strappare al giornalista (che, ricordiamolo l’ultima volta, non scrive per NOI, ma per i suoi lettori) l’inserimento di dati affatto pertinenti con il tema dell’intervista, qui si rivela una profonda ignoranza delle regole più basilari della scrittura, non solo giornalistica. Come si può aspettarsi che in un articolo, o in un’intervista, un giornale pubblichi trenta righe di titoli e qualifiche dell’intervistato? Nessun lettore le degnerebbe di uno sguardo. Un addetto stampa può anche non essere un giornalista, ma è bene che conosca almeno i rudimenti delle regole che governano questo mestiere.

Di Anna Tauri

Scrivo per creare connessioni. Questo è ciò di cui parlano la mia vita e le mie parole.